venerdì 21 maggio 2010

La lettera di Maria Luisa Busi a Minzolini :"Non mi riconosco più nelTg1"

Rai,Busi rinuncia a condurre Tg1 Minzolini: "Nessuna epurazione"

Con una lettera nella bacheca della redazione la giornalista spiega i motivi:

"Non mi riconosco più nella testata".


"Caro direttore ti chiedo di essere sollevata dalla mansione di conduttrice dell'edizione delle 20 del Tg1, essendosi determinata una situazione che non mi consente di svolgere questo compito senza pregiudizio per le mie convinzioni professionali. Questa è per me una scelta difficile, ma obbligata. Considero la linea editoriale che hai voluto imprimere al giornale una sorta di dirottamento, a causa del quale il Tg1 rischia di schiantarsi contro una definitiva perdita di credibilità nei confronti dei telespettatori".

"Come ha detto il presidente della Commissione di Vigilanza Rai Sergio Zavoli: 'La più grande testata italiana, rinunciando alla sua tradizionale struttura ha visto trasformare insieme con la sua identità, parte dell'ascolto tradizionale".

"Amo questo giornale, dove lavoro da 21 anni. Perché è un grande giornale. E' stato il giornale di Vespa, Frajese, Longhi, Morrione, Fava, Giuntella. Il giornale delle culture diverse, delle idee diverse. Le conteneva tutte, era questa la sua ricchezza. Era il loro giornale, il nostro giornale. Anche dei colleghi che hai rimosso dai loro incarichi e di molti altri qui dentro che sono stati emarginati. Questo è il giornale che ha sempre parlato a tutto il Paese. Il giornale degli italiani. Il giornale che ha dato voce a tutte le voci. Non è mai stato il giornale di una voce sola. Oggi l'informazione del Tg1 è un'informazione parziale e di parte. Dov'è il Paese reale? Dove sono le donne della vita reale? Quelle che devono aspettare mesi per una mammografia, se non possono pagarla? Quelle coi salari peggiori d'Europa, quelle che fanno fatica ogni giorno ad andare avanti perché negli asili nido non c'è posto per tutti i nostri figli? Devono farsi levare il sangue e morire per avere l'onore di un nostro titolo.
E dove sono le donne e gli uomini che hanno perso il lavoro? Un milione di persone, dietro alle quali ci sono le loro famiglie. Dove sono i giovani, per la prima volta con un futuro peggiore dei padri? E i quarantenni ancora precari, a 800 euro al mese, che non possono comprare neanche un divano, figuriamoci mettere al mondo un figlio? E dove sono i cassintegrati dell'Alitalia? Che fine hanno fatto? E le centinaia di aziende che chiudono e gli imprenditori del nord est che si tolgono la vita perchè falliti? Dov'è questa Italia che abbiamo il dovere di raccontare? Quell'Italia esiste. Ma il tg1 l'ha eliminata. Anche io compro la carta igienica per mia figlia che frequenta la prima elementare in una scuola pubblica. Ma la sera, nel Tg1 delle 20, diamo spazio solo ai ministri Gelmini e Brunetta che presentano il nuovo grande progetto per la digitalizzazione della scuola, compreso di lavagna interattiva multimediale".

"L'Italia che vive una drammatica crisi sociale è finita nel binario morto della nostra indifferenza. Schiacciata tra un'informazione di parte - un editoriale sulla giustizia, uno contro i pentiti di mafia, un altro sull'inchiesta di Trani nel quale hai affermato di non essere indagato, smentito dai fatti il giorno dopo - e l'infotainment quotidiano: da quante volte occorre lavarsi le mani ogni giorno, alla caccia al coccodrillo nel lago, alle mutande antiscippo. Una scelta editoriale con la quale stiamo arricchendo le sceneggiature dei programmi di satira e impoverendo la nostra reputazione di primo giornale del servizio pubblico della più importante azienda culturale del Paese. Oltre che i cittadini, ne fanno le spese tanti bravi colleghi che potrebbero dedicarsi con maggiore soddisfazione a ben altre inchieste di più alto profilo e interesse generale".

"Un giornalista ha un unico strumento per difendere le proprie convinzioni professionali: levare al pezzo la propria firma. Un conduttore, una conduttrice, può soltanto levare la propria faccia, a questo punto. Nell'affidamento dei telespettatori è infatti al conduttore che viene ricollegata la notizia. E' lui che ricopre primariamente il ruolo di garante del rapporto di fiducia che sussiste con i telespettatori".

"I fatti dell'Aquila ne sono stata la prova. Quando centinaia di persone hanno inveito contro la troupe che guidavo al grido di vergogna e scodinzolini, ho capito che quel rapporto di fiducia che ci ha sempre legato al nostro pubblico era davvero compromesso. E' quello che accade quando si privilegia la comunicazione all'informazione, la propaganda alla verifica".

Nella lettera a Minzolini Busi tiene a fare un'ultima annotazione "più personale": "Ho fatto dell'onestà e della lealtà lo stile della mia vita e della mia professione. Dissentire non è tradire. Non rammento chi lo ha detto recentemente. Pertanto:
1)respingo l'accusa di avere avuto un comportamento scorretto. Le critiche che ho espresso pubblicamente - ricordo che si tratta di un mio diritto oltre che di un dovere essendo una consigliera della FNSI - le avevo già mosse anche nelle riunioni di sommario e a te, personalmente. Con spirito di leale collaborazione, pensando che in un lavoro come il nostro la circolazione delle idee e la pluralità delle opinioni costituisca un arricchimento. Per questo ho continuato a condurre in questi mesi. Ma è palese che non c'è più alcuno spazio per la dialettica democratica al Tg1. Sono i tempi del pensiero unico. Chi non ci sta è fuori, prima o dopo.
2)Respingo l'accusa che mi è stata mossa di sputare nel piatto in cui mangio. Ricordo che la pietanza è quella di un semplice inviato, che chiede semplicemente che quel piatto contenga gli ingredienti giusti. Tutti e onesti. E tengo a precisare di avere sempre rifiutato compensi fuori dalla Rai, lautamente offerti dalle grandi aziende per i volti chiamati a presentare le loro conventions, ritenendo che un giornalista del servizio pubblico non debba trarre profitto dal proprio ruolo.
3) Respingo come offensive le affermazioni contenute nella tua lettera dopo l'intervista rilasciata aRepubblica 2, lettera nella quale hai sollecitato all'azienda un provvedimento disciplinare nei miei confronti: mi hai accusato di "danneggiare il giornale per cui lavoro", con le mie dichiarazioni sui dati d'ascolto. I dati resi pubblici hanno confermato quelle dichiarazioni. Trovo inoltre paradossale la tua considerazione seguente: 'il Tg1 darà conto delle posizioni delle minoranze ma non stravolgerà i fatti in ossequio a campagne ideologiche". Posso dirti che l'unica campagna a cui mi dedico è quella dove trascorro i week end con la famiglia. Spero tu possa dire altrettanto. Viceversa ho notato come non si sia levata una tua parola contro la violenta campagna diffamatoria che i quotidiani Il Giornale, Libero e il settimanale Panorama - anche utilizzando impropriamente corrispondenza aziendale a me diretta - hanno scatenato nei miei confronti in seguito alle mie critiche alla tua linea editoriale. Un attacco a orologeria: screditare subito chi dissente per indebolire la valenza delle sue affermazioni. Sono stata definita 'tosa ciacolante - ragazza chiacchierona - cronista senza cronaca, editorialista senza editoriali' e via di questo passo. Non è ciò che mi disse il Presidente Ciampi consegnandomi il Premio Saint Vincent di giornalismo, al Quirinale. A queste vigliaccate risponderà il mio legale. Ma sappi che non è certo per questo che lascio la conduzione delle 20. Thomas Bernhard in Antichi Maestri scrive decine di volte una parola che amo molto: rispetto. Non di ammirazione viviamo, dice, ma è di rispetto che abbiamo bisogno".

E conclude: "Caro direttore, credo che occorra maggiore rispetto. Per le notizie, per il pubblico, per la verità.
Quello che nutro per la storia del Tg1, per la mia azienda, mi porta a questa decisione. Il rispetto per i telespettatori, nostri unici referenti. Dovremmo ricordarlo sempre. Anche tu ne avresti il dovere".

Berlusconi: "Ridurre la spesa pubblica - Ue ha vissuto sopra le sue possibilità"

Berlusconi: "Ridurre la spesa pubblica Ue vissuto sopra le sue possibilità"

A Roma incontro tra il presidente del Consiglio e il numero uno della Commissione Ue, Jose Barroso. "Obiettivo comune è la difesa della moneta unica". L'appello di Bruxelles: "Necessarie le riforme strutturali"


ROMA
- "L'obiettivo comune è la comune difesa della nostra moneta e questo richiede anche un coordinamento di tutte le nostre politiche economiche, tutte tese alla riduzione della spesa e dei costi pubblici". Lo ha detto Silvio Berlusconi al termine dell'incontro a Palazzo Chigi con il presidente della Commissione Ue, Jose Barroso. Il premier ha anche aggiunto: "C'è consapevolezza che nella Ue abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità". (nota: "ma vaff...")
Per il presidente del Consiglio "tutti i Paesi d'Europa hanno dei debiti importanti, e invece di chiudere i bilanci con un margine che consentisse una graduale riduzione del debito, hano sempre chiuso con un margine di deficit in più che ha aumentato il debito". Così ecco arrivare la paura per il caso Grecia e la necessità per Atene di prendere "provvedimenti di riduzione drastica dei suoi costi" mentre "noi abbiamo ritenuto di dare il nostro contributo all'aiuto alla Grecia, da parte di tutti i Paesi dell'euro". Nei giorni scorsi, infatti, la Commissione europea, l'Eurogruppo, la Bce e le 50 banche private dell'Unione europea ''hanno deciso di andare nella direzione dell'aiuto multilaterale''. Infine il premier italiano ha fatto professione di europeismo: se l'Italia è la nostra patria "di oggi", l'Europa sarà "quella di domani".

Barroso, invece, ha chiesto di eliminare "l'eccesso di spreco della spesa pubblica". Una misura per risanare i bilanci europei minacciati dalla crisi. Chiedendo, inoltre, "di procedere con le riforme strutturali rimandate". Barroso ha inoltre auspicato che "l'Europa continui ad esercitare la sua leadership all'interno del G20 portando avanti il progetto di una riforma dei mercati finanziari aumentandone, ovviamente in modo accettabile, il controllo". "E' proprio in momenti come questo che l'Europa può fare veramente progressi e passi in avanti" conclude il presidente della Commissione.

21 Maggio 2010

venerdì 14 maggio 2010

Little Italy

POLITICA&PALAZZO | Marco Lillo
14 maggio 2010
Polizia, Servizi e giudici costituzionali: tutti nella rete di Anemone. Mancino: "Non ho avuto regali"
Ci sono tutti i luoghi simbolo degli ultimi scandali italiani. C’è la casa nella quale Silvio Berlusconi incontrava il giudice costituzionale Andrea Mazzella, che doveva decidere sul Lodo Alfano e c’è anche l’appartamento dove i congiurati della Rai e dell’Agcom, teleguidati dal Cavaliere, si riunivano per concordare la strategia contro Annozero. Ma soprattutto ci sono i luoghi dove dimorano tutti i segreti d’Italia. Dal capo della Polizia Antonio Manganelli ai capi dei servizi segreti, Gianni De Gennaro,Nicola Cavaliere e Paolo Poletti, tutti si rivolgevano a Diego Anemone. Dal vicepresidente del Csm Nicola Mancino all’ex ministro Pietro Lunardi.

Nei 385 nomi riportati in un file del suo computer da Diego Anemone troviamo un insieme di situazioni diverse. Ci vorrà molto per distinguere le situazioni trasparenti, come la ristrutturazione di un alloggio di servizio, da quelle opache. Alcuni dei personaggi tirati in ballo, come Guido Bertolaso, non hanno offerto una grande collaborazione all’accertamento della verità. Il capo della Protezione civile figura oltre che per la casa dei Parioli (che Il Fatto ha già descritto) anche per un secondo immobile in via Giulia. Sul primo il capo della Protezione civile conferma il pagamento di 20 mila euro per un lavoro di falegnameria. Mentre sulla seconda si affida a un comunicato con pochi particolari: “né Bertolaso, né i suoi familiari possiedono alcun immobile in quella zona del centro della città.

Per un breve periodo Bertolaso ha potuto utilizzare un appartamento in Via Giulia, posto nelle sue disponibilità da un amico, che non era il costruttore Anemone e non ha mai notato nella sua permanenza attività di ristrutturazione, né di altre opere edili, che comunque non sarebbero state di sua competenza o responsabilità”. Bertolaso non fornisce il nome dell’amico e rimane quindi poco chiaro perché Anemone colleghi via Giulia al suo nome. L’ex ministro degli interni Nicola Mancino e sua figlia Chiara sono citati nella lista per tre indirizzi: Corso Rinascimento, via Arno e via Adda.

In via Arno la figlia, il genero e la moglie del vicepresidente del Csm ci accolgono e con grande apertura mostrando i documenti e le fatture di una ristrutturazione pagata a prezzi di mercato ed effettuata da un’altra società: Ghisu e Ghisu che non ha nulla a che fare con Anemone. “Non abbiamo niente a che vedere con situazioni come quella di Scajola“ dicono in coro i Mancino. “Noi siamo entrati in affitto quando il palazzo apparteneva al Vaticano. Poi è stato venduto alla società Villa degli Ulivi che ha ceduto agli inquilini e noi abbiamo comprato. La ristrutturazione è appena finita ma l’abbiamo pagata fino all’ultimo euro. Anemone ha fatto solo il trasloco”. I Mancino non ci hanno mostrato la fattura del trasloco ma sostengono di averla. Mentre la storia di Corso Rinascimento è scandalosa ma perché è un caso da manuale degli scandali “affittopoli e svendopoli”. L’appartamento fu affittato dall’Ina ai Mancino e poi fu ceduto da Pirelli Re a un prezzo basso come a tutti gli altri inquilini. Mancino riuscì a rivendere con una plusvalenza di un milione di euro circa che poi è stata usata, insieme a una vendita di una casa di Avellino, per comprare le due case che erano state dello IOR, la banca del Vaticano, dalla societàVilla degli Ulivi.

“Anemone ci ha ristrutturato quella casa quando mio padre era ministro dell’interno nel 1992. Per ragioni di sicurezza i servizi segreti indicarono Anemone”, ricorda la figlia Chiara Mancino che aggiunge “non ci sono lavori più recenti riferiti a Corso Rinascimento. E non capisco nemmeno l’indirizzo di via Adda, dove non possediamo nulla”. Il capo dei servizi segreti Gianni De Gennaro figura due volte nella lista. Per una casa in una via dei Parioli riferita da Anemone alla sua persona e per uno studio legale, riferito a “figlio Di Gennaro”. L’appartamento dei Parioli è stato ristrutturato da Anemone e i lavori sono stati pagati da De Gennaro con assegni per un totale di 42 mila euro. La seconda casa è l’ex studio legale del figlio Francesco. I lavori, ricorda il suo socio di allora, l’avvocato Carlo Traverso“riguardavano i controsoffitti, le luci e il rifacimento completo del bagno, compresa la fornitura dei materiali. Francesco De Gennaro mi disse che conosceva una società che lavorava per il ministero dell’interno e che quindi ci avrebbe trattato bene. Effettivamente abbiamo pagato 10 mila e 200 euro nel 2006. Un buon prezzo, ma è stato tutto trasparente”.

Poi ci sono anche i lavori negli alloggi di servizio del vicedirettore del Dis, Nicola Cavaliere, dell’ex capo di stato maggiore della Guardia di Finanza Paolo Poletti, ora passato anche lui al servizio segreto, e di altri sei prefetti. C’è la casa del capo della Polizia Antonio Manganelli. Un appartamento ai Parioli di proprietà dell’enteEnasarco nel quale effettivamente Anemone stava lavorando fino a pochi mesi fa. E anche il ministro Piero Lunardi figura con due case: il palazzo di via dei Prefetti a Roma e “Cortina D’Ampezzo”. Entrambi gli immobili appartengono all’immobiliare San Marco dei figli dell’ex ministro. Il politico del Pdl ammette i lavori di Anemone nel palazzetto comprato in via dei Prefetti da Propaganda Fide ma sostiene “li fece quando era ancora del Vaticano”. Mentre nega i lavori della sua casa a Cortina: “non ricordo nulla di simile”.

Da il Fatto Quotidiano del 14 maggio

Anemone e i palazzi del potere

13 maggio 2010
Lunga la lista dei potenti che hanno usufruito dei servigi del costruttore

La lista è impressionante. Da Scajola a Bertolaso, da Mancino al generalePoletti, da Lunardi a Ercole Incalza, passando per Pupi Avati. I pubblici ministeri di Perugia non credevano ai loro occhi quando gli uomini della Guardia di Finanza di Roma gli hanno messo sotto gli occhi l’elenco che Diego Anemoneteneva gelosamente nascosto nel suo computer. Una lista di potenti che hanno usufruito dei servigi del costruttore che a febbraio è stato arrestato per corruzione. La lista comprende i nomi dei politici e dei burocrati protagonisti degli ultimi sviluppi dell’indagine perugina e questo ha attirato i sospetti dei pm Alessia Tavernesi e Sergio Sottani anche sui nomi che non sono minimamente coinvolti nell’indagine. La lista è esplosiva e va maneggiata con grande cura e i magistrati lo sanno. Dentro c’è di tutto: i lavori negli uffici del ministero e le ristrutturazioni nelle case private passando per gli alloggi di servizio di proprietà dello Stato che li cede in uso a ministri e generali per ragioni di sicurezza.

La lista indica anno per anno tutti i lavori "sensibili" effettuati da Anemone, con tanto di indirizzo e spesso anche il numero civico. Si parte nel 2003 con "Scajola, Via Barberini 38 e via del Fagutale". E già dall’inizio si comprende quanto è scivolosa questa elencazione reperita in un file nel pc di Anemone. Perché se via del Fagutale è l’indirizzo vicino al Colosseo della casa dell’ex ministro Scajola che è diventata ormai il simbolo dell’ultima fase dell’inchiesta, a via Barberini si trova l’ufficio del ministro dell’Attuazione del programma. Oltre alla casa e all’ufficio dell’allora ministro dell’attuazione del programma, nell’elenco del 2003 compare una novità assoluta: "Chiara Mancino Corso Rinascimento". Con tutta probabilità si parla dell’appartamento di fronte al Senato della figlia di Nicola Mancino che abitava alora nello stesso stabile dove il papà aveva una magione principesca.

Nel 2004, accanto a via Fagutale e via Barberini 38 compare un terzo indirizzo indicato genericamente: "Colle Oppio", un luogo vicino vicino alla casa comprata in quell’anno con gli assegni di Zampolini dal Generale dei servizi segreti Francesco Pittorru. Ma sarà solo un caso. Sempre nel 2003 e 2004 compare anche "Guido Bertolaso, via Giulia e via Bellotti Bon", cioé la casa privata del capo della Protezione civile. Con riferimento a Bertolaso si elencano anche "via Ulpiano e Vituliano", uffici della Protezione Civile. La lista vede protagonista la Guardia di Finanza. Accanto alla sigla "G.F" si elencano generali e uffici. C’è l’indicazione “via Ofanto, Poletti”. Il generale che è stato Capo di Stato maggiore delle Fiamme gialle fino allo scorso anno quando è andato a ricoprire la poltrona di numero due dell’Aisi, il servizio segreto, abitava allora in via Ofanto, in un alloggio di servizio che era una casa precedentemente confiscata dallo stato alla mafia. Probabilmente si tratta di lavori a spese dello Stato. Poi c’è “G.F. Carelli, via dell’Olmata” e “G.F. via dell’Olmata primo piano”, cioé la sede del comando del nucleo che attualmente fa le indagini sulla cricca di Anemone e soci.

Nel 2005 ricompare Nicola Mancino. Stavolta con tre indirizzi. "Mancino via Arno, Corso Rinascimento; via Adda". E anche Scajola sembra tornare: "Ministero Attività Produttive, via Molise, ufficio Scajo". Ovviamente ora bisognerà capire cosa si nasconde dietro ciascun lavoro. Cosa è stato fatto nelle abitazioni private di Bertolaso, Mancino e degli altri vip. Non è affatto detto che dietro quei nomi e quei lavori si celino comportamenti illeciti. Ma certamente vicende da approfondire da parte degli investigatori. Come quella dei pagamenti per il cognato di Bertolaso emersa dalle carte di Anemone, un vero pozzo senza fondo di sorprese. Secondo quanto risulta al Fatto Quotidiano, sono spuntati due pagamenti a Francesco Piermarini, fratello di Gloria, moglie di Bertolaso. L’ingegner Piermarini ha incassato 130 mila euro dalla società Cogecal "riconducibile al gruppo Anemone" che si occupava di bonificare la Maddalena in vista del G8.

Il secondo pagamento è più antico e interessante. Si tratta della parcella di 30 mila euro onorata dalla Anemone costruzioni all’ingegner Piermarini per l’attività prestata nella ristrutturazione della caserma Zignani di Roma. Nel luglio del 2004, Anemone costruzioni srl si aggiudica un appalto da 8 milioni per «ristrutturazione, adeguamento funzionale e impianti integrati di sicurezza» per l’edificio militare che in parte sarà poi destinato a sede dei servizi segreti. Piermarini ottiene probabilmente una parte della progettazione.Piermarini, sollecitato dal Fatto a offrire una sua versione sia sull’incarico da 130 mila euro che su quello da 30 mila, replica con questa dichiarazione scritta: “Per quanto riguarda la Maddalena, la controparte del mio disciplinare di incarico è la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Mentre per l’altra prestazione non ho altro da aggiungere a quanto già dichiarato precedentemente alla Guardia di Finanza". Il sottosegretario Guido Bertolaso, investito della questione tramite il suo portavoce, ha evitato di commentare l’ennesima vicenda nella quale il suo nome e quello della sua famiglia si ritrova accoppiato a quello degli Anemone.

Da il Fatto Quotidiano del 13 maggio


martedì 4 maggio 2010

«Cerchi casa? Chiedi a Scajola !»




«Cerchi casa? Chiedi a Scajola»: lo striscione è stato srotolato lunedì dal ponte pedonale che collega via del Fagutale, dove al primo piano si trova l'appartamento al centro delle polemiche, e via Vittorino da Feltre. Proprio di fronte al Colosseo, da una parte la vista sull'anfiteatro, dall'altra quella sullo storico rione Monti. Sul lenzuolo bianco, scomparso in tarda serata, portato via non si sa da chi, anche una firma, Semplicerivoluzione.com. Sul sito, assieme alle foto dello striscione, e della sua sistemazione da parte di una persona di spalle, la spiegazione della scritta: «È il consiglio di Semplice Rivoluzione alle tante famiglie che attendono un alloggio, più volte promesso dal governo Berlusconi. Ora Scajola può anche dimettersi. Potrà sempre aprire con successo un'agenzia immobiliare. Prezzi modici, ovviamente». Quanto alla formazione, «è un modo di fare politica — si legge —. Quello giusto, semplicemente». «Vicini» vengono definiti «l'Unità», «il Fatto Quotidiano», «Radio popolare Roma», «Micromega», il sito http://diegobianchi.com e il Pd.

sabato 1 maggio 2010

Vergogna Claudio Scajola si dimetta!

Scajola, le carte che accusano "Per la casa da lui tutti i soldi"

Scajola, le carte che accusano "Per la casa da lui tutti i soldi"

Repubblica.it: il quotidiano online con tutte le notizie in tempo reale.

Quattro testimoni e le tracce bancarie: le prove in mano ai pm. Le deposizioni lo accusano di aver ricevuto nel suo studio al Ministero 900mila euro dal fiduciario di Anemone per l'acquisto di una casa.

di CARLO BONINISi fa macroscopica la menzogna di Claudio Scajola. Quattro testimonianze, un atto notarile e numerose tracce bancarie documentano ora che il ministro per lo Sviluppo economico conosceva la provenienza degli 80 assegni "neri" che, nel luglio del 2004, per un valore di 900 mila euro, pagarono più della metà della sua casa al 2 di via del Fagutale. Le testimonianze - oggi agli atti dell'inchiesta di Perugia sulla "cricca" dei Grandi Appalti - provano che di quegli assegni, il giorno del rogito, il ministro era materialmente in possesso. Di più: dimostrano che Scajola, pure assolutamente consapevole del prezzo reale di vendita - 1 milione e 710 mila euro - di quel magnifico appartamento che affaccia sul Colosseo, dispose che quella cifra venisse dissimulata, dichiarando di fronte a un notaio che era pari a soli 600 mila euro. Perché il Fisco non vedesse, ma, soprattutto, perché venisse così cancellata ogni traccia di almeno due circostanze: i 200 mila euro in contanti che, poco tempo prima dell'acquisto, aveva consegnato alle venditrici e il suo legame con l'architetto Angelo Zampolini, la "tasca" del costruttore Diego Anemone, il professionista, oggi indagato per riciclaggio, da cui aveva ricevuto quegli 80 assegni.

Veniamo dunque a quel luglio del 2004. Al contenuto delle quattro testimonianze in grado di ricostruire i passaggi chiave di questa vicenda. A quegli 80 assegni e alla loro storia. Scajola è da appena un anno nuovamente ministro. Costretto alle dimissioni dal Viminale nel 2002 per la vicenda Biagi ("un rompicoglioni", lo apostrofa da morto) viene recuperato dopo un breve purgatorio dal Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che lo issa sulla poltrona dell'Attuazione del Programma. L'uomo ha ripreso energia e peso politico. Decide di acquistare una casa a Roma e per questo coinvolge Diego Anemone, il "costruttore" dei Potenti, l'anima di quella "Cricca" che governa i Grandi Appalti. Soprattutto, il costruttore che al Viminale è di casa. Anemone mette a disposizione di Scajola l'architetto Angelo Zampolini, il suo spicciafaccende per questioni delicate e di riguardo. E il professionista si sbatte come può. Trova subito qualcosa di interessante e importante al Gianicolo, il terrazzo di Roma. Ma la soluzione non è gradita al ministro. Quindi si rimette al lavoro. E' fortunato. Le sorelle Barbara e Beatrice Papa vendono infatti in via del Fagutale 2 una magnifica casa di rappresentanza dal cui salone si tocca con la mano il Colosseo. Scajola gradisce. Comincia la trattativa e l'accordo si trova a 1 milione 700 mila euro.
Le due sorelle - come racconteranno candidamente alla Finanza durante una serie di interrogatori sostenuti dalla produzione di documenti che hanno gelosamente custodito - sono lusingate dall'acquirente e non stanno certo a discutere su modi e tempi del pagamento. Ricevono subito 200 mila euro in contanti dalle mani del ministro che - raccontano - dividono equamente a metà. Anche se, a fronte di quel pagamento, non sottoscrivono alcun contratto preliminare. O, se lo fanno, è una scrittura privata che, ad acquisto concluso, viene stracciata. L'architetto Angelo Zampolini è al corrente di quella prima tranche di contanti e, interrogato, sostiene di non essere stato lui a metterli a disposizione. "Ritengo fossero del ministro", dice. E' un fatto che, in vista del rogito, secondo uno schema collaudato, si mette invece in moto per confezionare, per conto di Anemone, lo strumento di pagamento in grado di non lasciare traccia del generoso contributo con cui il costruttore si prepara a rendere Scajola un felice padrone di casa.

Anemone - racconta Zampolini ai pm - gli consegna 900 mila euro in contanti che lui stesso porta all'agenzia 582 della "Deutsche bank" (dove ha un conto) perché vengano cambiati in 80 assegni circolari intestati alle due sorelle Papa. Ottanta, si badi bene. Non uno, non due, non tre. Ma ottanta. C'è una ragione in quella singolare richiesta di cambio. Gli assegni circolari devono avere importi inferiori ai 12 mila e 500 euro, soglia oltre la quale la banca è tenuta a segnalare l'operazione al circuito interbancario e alla Guardia di Finanza. Anemone e Zampolini sono infatti convinti che, in questo modo, nessuno andrà a ficcare mai il naso in quella operazione. Ma sbagliano. Alla "Deutsche", evidentemente, trovano qualche funzionario pignolo che, in quel luglio di sei anni fa, vede in quella curiosa operazione di cambio quella che, tra gli addetti, si chiama "operazione sospetta di frazionamento". E per questo la segnala al circuito interbancario. E' il granello di sabbia che - oggi lo sappiamo - farà saltare più avanti l'intero "sistema Anemone".
Zampolini, che ignora quale pasticcio abbia appena combinato, esce dunque dalla "Deutsche" con i 900 mila euro di Anemone trasformati in 80 assegni circolari e, il 6 luglio, quegli assegni sono nelle tasche di Scajola. Su questo punto, infatti, i ricordi delle sorelle Papa sono nitidi. E' un giorno particolare. Si separano dalla casa di famiglia e, per giunta, il rogito si firma nell'ufficio del Ministro. Il notaio Gianluca Napoleone, che redige e convalida la compravendita, dà infatti atto oltre che della sua presenza, del solo Scajola e delle Papa. E' il ministro che consegna gli assegni. "Tutti insieme", ricordano le sorelle. Ottanta assegni della "Deutsche" per un valore di 900 mila euro e alcuni assegni del banca san Paolo Imi per 600 mila euro. Quest'ultimo - 600 mila - è il "prezzo in chiaro" della casa. Quello per cui il ministro ha acceso un regolare mutuo con il san Paolo. Il solo che deve comparire. Interrogato, il notaio Napoleone che, a stare al racconto delle sorelle Papa, sta autenticando una compravendita che non risponde alla realtà, si giustifica spiegando che, almeno alla sua presenza, quei 900 mila euro non vengono scambiati. E comunque che, in quel 2004, la legge non impediva ancora eventuali scritture private tra le parti che integrassero il prezzo dichiarato di vendita.

E' un fatto che la sera del 6 luglio, l'affare è chiuso. Le due sorelle Papa, nei giorni successivi, verseranno sui propri conti bancari quella piccola fortuna in decine di assegni circolari di cui continuano a non comprendere la ragione, ma di cui non hanno azzardato di chiedere spiegazione. E' l'ultima traccia che chiude il cerchio. Di quegli 80 assegni, ormai, è scritta la storia. Da cima, a fondo. Le impronte del ministro non possono essere più cancellate.
(30 aprile 2010)

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un commento dal blog di Beppe Grillo:

In merito alla faccenda di Scajola. Premetto che io sono un elettore di destra, della destra sana, quella con i principi saldi e coerenti, ma che si sa anche adeguare ai tempi. Facendo una piccola e semplice indagine da profano, consultando la banca dati catastale (gratuita e libera), si può notare come Anemone, Balducci (lorenzo, che è il figlio), Pittorru e SCAJOLA, stranamente abbiano in comune di aver stipulato il rogito per l'acquisto degli appartamenti al vaglio degli inquirenti presso lo stesso notaio, Napoleone Gianluca di Civitavecchia. In tutta la provincia di Roma esiste solo questo notaio, in tutta Roma, dove si trovano gli appartamenti, non esiste un notaio. 5 compravendite, ossia 10 parti indipendenti e "sconosciute" tra loro (venditore e acquirente) tutte dallo stesso notaio???

luigi ragone 01.05.10 12:32|

L'appartamento vista Colosseo del Ministro Scajola.