venerdì 19 febbraio 2010

Il peggio della diretta - Un Franco confronto

di Luigi Galella 17 febbraio 2010

C'è chi pensa che la corruzione in Italia abbia origini antichissime e affondi le sue radici nella decadenza dell'Impero Romano. Senza prenderla così alla lontana, basterebbe ricordare i nostri recenti, sciagurati decenni, e gli ultimissimi giorni, in cui grandi "mariuoli" o piccoli sciacalli tornano alla ribalta. In realtà, non se n'erano mai allontanati. Se ne occupa Lilli Gruber ("Otto e mezzo", La7, lunedì, 20.30), nella ricorrenza dell'esplosione della prima Tangentopoli, diciotto anni fa.
Tre voci, distinte le posizioni: la conduttrice, sempre più garbata ed elegante, perfetta nelle domande, ma cauta nell'affondare la lama; l'ospite fisso, Massimo Franco, notista politico del Corriere della Sera e Piercamillo Davigo, magistrato di Milano, in collegamento, protagonista della stagione di Mani Pulite. Il titolo della puntata è forse una domanda retorica: "Comandano i corrotti?" La cronaca. La Gruber chiede a Davigo: "Che cosa l'ha colpita della recente inchiesta sulla Protezione civile?" Il magistrato risponde che non sa nulla della vicenda, ma che gli indici di percezione della corruzione danno all'Italia un triste primato nel mondo occidentale. La conduttrice cita la frase del premier: "I pubblici ministeri si dovrebbero vergognare", e chiede al magistrato che effetto gli abbia prodotto.
Nessuno, la risposta. "Ne sono abituato". Massimo Franco deve convenire che effettivamente in questo caso "non bisognerebbe prendersela coi magistrati", ma stempera la sofferta ammissione con una domanda capziosa, apparentemente terzista: "Il fatto che dopo Mani Pulite Di Pietro sia entrato in politica ha aggiunto o tolto credibilità alle vostre inchieste?". Ingannevole, la domanda, perché presuppone l'esistenza di quello che nella retorica antigiudiziaria della destra viene definito il "Partito dei giudici", dandolo per scontato, avvalorandolo senza ci-tarlo. Fulminante, la replica di Davigo: "In tutti i paesi del mondo i diritti civili li sospendono ai delinquenti, solo in Italia si pensa di toglierli ai magistrati". L'aplomb di Franco si incrina, lo sguardo resta vitreo a osservare lo schermo.
Ma più avanti, il notista, ripresosi dallo smarrimento, torna all'attacco col suo stile pacato e morbido, quasi curiale, che tuttavia maschera sempre meno la neutralità delle idee: "Ma la supplenza della magistratura è fisiologica o patologica?"
E ancora: "C'è un modo per rompere questo circolo vizioso fra voi e la politica?". Ripetendo la vecchia litania della presunta contrapposizione, vera solo per chi da politico intende continuare a delinquere senza essere disturbato. "Sì", la risposta di Davigo. Secca.
E dire che non gli mancherebbe certo l'eloquio: "Basterebbe smettere di rubare". La chiusa, infine, è memorabile, e va citata per esteso, anche perché strappa un debole, malcelato sorriso perfino al suo refrattario interlocutore: "I diritti di libertà sono stati conferiti per poter parlar male di chi è al potere. Per parlar bene c'erano già i cortigiani".

da "Il Fatto Quotidiano"

Per rivedere la puntata di "Otto e mezzo" con Piercamillo Davigo:


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