domenica 25 ottobre 2009

Don Farinella a testa bassa

11 ottobre 2009

Partecipando all’inaugurazione della mostra `Il potere e la Grazia´ mercoledì scorso a Roma assieme al premier Silvio Berlusconi, il segretario di stato vaticano, il card. Tarcisio Bertone si sarebbe comportato «come un compare di nozze, accanto all«utilizzatore finalè di prostitute a pagamento» che ha «da solo calpestato tutti i principi etici non negoziabili» con cui il porporato «è solito pontificare». Lo scrive in una lettera aperta allo stesso card. Bertone, don Paolo Farinella, sacerdote genovese teologo e biblista, secondo cui il premier ha calpestato «tutti i principi della dottrina sociale della Chiesa che ogni tanto il card. Bertone rispolvera per darsi un contegno». «Lei stava lì - scrive il prete riferendosi all’inaugurazione della mostra a Palazzo Venezia - come un protettore che mette il cappello sul proprio protetto, mandando un messaggio mediatico trasversale dentro e fuori i palazzi: Berlusconi è sotto la protezione del Vaticano e non si tocca». «Il mondo ha visto - prosegue don Farinella - che il presidente del Consiglio ha osato dirle davanti a tutti che in quella mostra mancava un quadro, quello di «San Silvio da Arcore» e lei, con il sorriso di prassi, è rimasto allampanato. Lei annuiva, restando immobile. Io non so se lei si sia reso conto - conclude - del danno che ha provocato alla Chiesa universale e alla Chiesa che è in Italia in modo particolare».

http://ilsecoloxix.ilsole24ore.com/p/genova/2009/10/11/AM9aRI0C-protettore_farinella_berlusconi.shtml?hl

Forza Nuova, un “manipolo” contro don Paolo Farinella

27 settembre 2009
Una quindicina di militanti di Forza Nuova in piazza Matteotti (non in piazza San Giorgio di fronte alla chiesa di don Farinella), più o meno gli esponenti dei centri sociali in piazza Raibetta.

I primi a contestare, come preannunciato, don Paolo Farinella che su Micromega aveva espresso un giudizio critico sulle missioni di “pace” delle forze armate italiane, con un giudizio “laico” sui parà morti nella strage di Kabul: erano militari, sono andatì lì sapendo dei rischi che correvano proprio perché militari e per guadagnare di più. Esprimendo poi delle critiche sull’atteggiamento di (parte) dei militari, “guascone” e spaccone.
Le reazioni (come già accaduto per un sacerdote milanese, finito sotto scorta, per le sue posizioni pesantemente critiche su Afghanista, Iran, Libano, non si sono fatte attendere.

Forza Nuova ha promosso la manifestazione odierna annunciando anche una colletta per invitare don Farinella a fare un viaggio, senza ritorno, a Kabul.
Slogan e replica delle proprie motivazioni critiche con un prete «arrogante e senza onore» per le critiche «ai valorosi morti e a tutte le vittime dell’impegno militare italiano sui fronti internazionali per portare la pace e aiuto alla popolazione» da parte degli esponenti di Forza Nuova. Di tenore diverso quelle dei centri sociali.

Don Farinella non ha taciuto. Prima della messa domenicale ha ribadito le sue convinzioni allargando il fronte delle critiche.

Al Papa perché con il nuovo episcopato «conta più la gergarchia vaticana e l’apparato della “Chiesa”». Al presidente Cei e arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco: «nelle sue omelie e interventi parla più del Papa che di Dio». All’ex Arcivescovo genovese Tarcisio Bganasco oggi segretario di stato vaticano: «non mi faccio comandare da uno che nel suo paese si è costruito una casa che supera il piano regolatore». E a Berlusconi con una sottile ironia (peraltro evidenziata dai
media nelle ore successive all’incontro) sul suo incontro «non casuale», ma certamente combinato «con il Papa». «L’incontro di ieri tra il Papa e Berlusconi all’aeroporto di Ciampino - ha aggiunto- è stato studiato apposta dagli uffici stampa di Chiesa e Governo, per quel 70% di italiani che si forma davanti alla Tv. Dedicherò la messa di oggi anche alla morte dell’informazione italiana». Don Farinella ha aggiunto di non apprezzare «il coinvolgimento dello Ior nei più grandi malaffari del capitalismo» e di accettare comunque qualsiasi decisione dell’ arcivescovo Bagnasco su un suo spostamento di parrocchia: «se il vescovo mi trasferirà - ha detto don Farinella - accetterò qualsiasi decisione. Se vengo capito bene, se no non so cosa farci».

Don Farinella ha parlato a lungo e, come sempre, senza mezzi termini, con una chiarezza sui concetti che condivisibili o meno, non sono certamente criptici.
Sulla vicenda afghana ha anche detto che «dedichera la messa odierna a tutti i morti innocenti in Afghanistan e domani leggerete sui giornali che ho inneggiato a Bin Laden. L’ordinario militare, nell’omelia per i funerali dei sei parà italiani, non ha speso una parola per i novanta morti civili in quell’attentato». Questo è stato l’incipit della sua celebrazione religiosa.

Il sacerdote non si è nascosto, come spesso molti fanno di fronte alle difficoltà, al fraintendimento di cosa scritto o da altri riportato: «Confermo ciò che ho scritto su Micromega - ha detto don Farinella -: i morti italiani e afghani sono tutti uguali. L’ uniformità retorica presente in Italia non mi appartiene. Il concetto di Patria che ha questo Governo non mi appartiene. La mia patria è il mondo intero».

E la manifestazione? A Radio19 don Paolo ha detto: «Siamo in democrazia, tutti hanno diritto di manifestare e di dire cosa pensa. Per questi ragazzi (Forza Nuova) dico solo che mi spiace per loro rimasti fermi a 150 anni fa. Ma non mi adeguo alle celebrazioni di eroismo e alle strumentalizzazioni del Governo italiano. È un Governo scemo. I sei sventurati parà italiani sapevano di rischiare di morire, per questo erano pagati di più».

http://ilsecoloxix.ilsole24ore.com/p/genova/2009/09/27/AMox8jxC-contro_farinella_manipolo.shtml?hl

don Farinella risponde ai cardinali





“NON RISPONDETE ALLE MIE DOMANDE CHE SONO LE DOMANDE DEL POPOLO DELLA CHIESA”

Il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, ha chiesto e ottenuto la pubblicazione sul settimanale cattolico genovese “Il Cittadino” della sua risposta a due mie lettere a lui indirizzate (11-09 e 08-10 2009). La lettera è accompagnata da una seconda, scritta dal cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e, non possiamo dimenticare, anche presidente della Cei. Lo stesso giorno della pubblicazione ho inviato ai due cardinali la mia risposta, chiedendo che venga pubblicata sullo stesso settimanale. Non credo di pensare male, se dico che non la pubblicheranno mai. Lo hanno fatto già altre volte. Per questo motivo rendo la pubblica come risposta pacata, con una premessa previa.


Si narra nel vangelo di Luca (23,12) che Erode e Pilato erano «nemici» e dopo essersi palleggiato Gesù come uno “stravagante”, divennero “amici”. Le mie prese pubbliche sulle attività “politiche” del Segretario di Stato e del Presidente della Cei (sottolineo «politiche», non “pastorali” o “dottrinali”) hanno avuto come primo effetto quello di avvicinare i due cardinali che, sul caso Boffo/Feltri, sembravano essersi divaricati. E’ evidente che nella Chiesa io lavoro per la comunione e non per dividere.

Il fatto che due cardinali si compattino per rispondere “ufficialmente” (carta con tanto di stemma del cardinale Bertone), a mio parere sta a significare che ho toccato nervi scoperti che fanno male, tanto male che i due porporati non rispondono minimamente agli interrogativi che io pongo, ma esprimono il loro disappunto perché non sanno cosa rispondere e forse hanno informazioni più dirette di quelle che posso avere io (non ho servizi segreti a mio servizio) della gravità e della profondità del dissenso all’interno della Chiesa che si configura sempre più come uno scisma sommerso e, oggi, non più tanto silenzioso.

Nel 2009 sono usciti, senza scalpore, ma con notevole impatto, due libri, editi ambedue da “Il Segno dei Gabrielli, San Pietro in Cariano (VR)” che dovrebbero essere un campanello di allarme per la gerarchia di ciò che sta accadendo nel fiume carsico del mondo cattolico: Piero Cappelli Lo scisma silenzioso. Dalla casta clericale alla profezia della fede e J. M. Castillo, La Chiesa e i diritti umani. Chi vive “sulla strada” vede con sgomento lo scollamento sempre più largo tra la gerarchia cattolica e la vita reale dei credenti che ormai vivono una propria vita con una religiosità personalizzata. Su questo specifico punto, mi riservo di essere più puntuale in una lettera riservata al mio vescovo perché possa valutare e riflettere sulla gravità del momento.

Il cardinale Bagnasco parla delle mie prese di posizione come di “atteggiamento che suscita in molti – cristiani e non – non poco stupore e disappunto”. Mi piacerebbe che fosse più esplicito su questo punto, dicendo “chi, perché e quanti” sono i “disappuntati “. Ricevo migliaia di lettere e solo quattro contestazioni, di cui due sulle mie posizioni nei confronti dei militari morti in Afghanistan (la documentazione è a disposizione, non tanto per la quantità, quanto per i contenuti e le motivazioni). Nessuno può accusarmi di essere malato di protagonismo perché ho rifiutato in questi giorni intervisti a tv locali e nazionali, e quelle che appaiono sono improvvisate. In internet circolano solo un paio di mie foto e non da me divulgate. Non cerco consenso e non sono alla testa di alcun movimento. Testimonio solo per me stesso, da me stesso. Quando ho da dire qualcosa lo comunico a circa un migliaio di persone con le quali sono in contatto. Il resto viene da solo.

Mi è parso di leggere nelle due lettere, “un velato avvertimento”, quasi un avviso ad un successivo provvedimento disciplinare nei miei confronti. Poiché sono prete cattolico per vocazione e per scelta libera e non per convenienza, dichiaro pubblicamente che accetterò qualunque provvedimento inerente la “dottrina e la morale e la disciplina canonica”, gli unici campi su cui i vescovi hanno competenza su di me e che io riconosco. Lo devono fare però nella debita forma, prevista dal Diritto. I cardinali Bertone e Bagnasco si occupano di politica e di politici e intervengono spesso identificandosi con la Chiesa tout-court compiendo un illecito dal punto di vista teologico perché la Chiesa è molto più ampia della gerarchia che è solo una componente di essa. La materia su sui stiamo discutendo appartiene alle cose fallibili e alle vicende di questo mondo, sulle quali l’opinione dei cardinali si pone sullo stesso piano di quella di chiunque altro. Essi infatti non possono invocare il “magistero” perché nelle lettere a Bertone e/o a Bagnasco non tocco argomenti di “dottrina”.

Sono prete cattolico e apostolico, non sono romano perché la “romanità” non è una caratteristica che rientra tra le quattro espresse nel “simbolo niceno-costantinopolitano”. Mi avvalgo della mia libertà di valutare ciò che accade nel mio tempo e di leggerlo alla luce del Vangelo e del magistero definito. Possono piacere o non piacere il contenuto e il tono, ma nessuno può accusarmi di eresia o di altro inerente la fede. La domanda è le cose che dico sono vere o false? Sono parzialmente vere o parzialmente false? In genere si trincera dietro “il tono” chi non ha argomenti da contrapporre.

Prego Dio che l’annuncio del Vangelo nella sua purezza prenda il sopravvento sulla diplomazia o i “doveri istituzionali” che possono oscurare, e di fatto oscurano, il ministero sacerdotale che vescovi preti dovremmo sempre perseguire. Resta il fatto che la presenza del cardinale Bertone a quella mostra, senza una parola “altra” ha suscitato in moltissimi “– cristiani e non – non poco stupore e disappunto”. Anzi: scandalo.

don Paolo Farinella

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Signor Cardinale,

la ringrazio per la sua risposta alla mia lettera «aperta» dell’8 ottobre 2009 e le rispondo volentieri, sperando anche che «Il Cittadino», settimanale cattolico della diocesi di Genova, voglia ospitarmi non dico con la stessa evidenza riservata a lei, su sua esplicita richiesta, ma almeno analoga.

Per prima cosa è meglio sgombrare il terreno delle questioni personali che rischiano di confondere e sulle quali lei fa parecchie confusioni. E’ vero che lei mi ha nominato “Amministratore parrocchiale della parrocchia di S. Maria Immacolata e San Torpete”, che dal 1995 non è più “parrocchia personale e gentilizia”, come erroneamente lei dice ancora, nonostante le scrissi a suo tempo, documenti alla mano, perché la famiglia proprietaria vi ha rinunciato dinnanzi al notaio, cedendola alla diocesi. Lei però non dice tutta la verità sul come si è arrivati a questa nomina e non certo per la sua “benevolenza nei miei confronti durante il mio episcopato genovese”.

Dopo il mio rientro da Gerusalemme, rimasi ospite nella canonica di San Torpete (da oltre venti anni chiusa al pubblico perché inagibile), ma senza alcun incarico pastorale e per due anni andai a mendicare una chiesa dove celebrare la Messa, nel suo più totale disinteresse. Quando la misura mi parve colma, venni da lei che mi propose di nominarmi “parroco” di San Torpete, parrocchia senza parrocchiani e senza territorio, ormai a parziale restauro terminato, dandomi il mandato di farne un centro culturale. La settimana dopo, testimone l’ausiliare mons. Luigi Palletti, lei si rimangiò la nomina per intervenute difficoltà e mi propose di fare il cappellano di una comunità di sei suore ultraottuagenarie in via al capo di Santa Chiara. Accettai e andai a visitare il posto accompagnato dal vescovo ausiliare e dal vicario dei religiosi, padre Cesare Ghilardi. Splendida vista sul mare di Boccadasse, ma non se ne fece nulla perché non c’era nemmeno lo spazio per sistemare la mia grande biblioteca.

Dopo alcuni giorni, venni di nuovo da lei e le dissi che se mi avesse tenuto ancora senza incarichi in diocesi, unico prete disoccupato, non solo non avrebbe avuto diritto di parlare di crisi di vocazioni e di mancanza di preti, ma che non avrebbe potuto celebrare la Santa Messa in buona coscienza. Alzandomi in piedi aggiunsi che da quel momento lei poteva fare il vescovo della diocesi, ma io avrei fatto il papa di me stesso perché lei mi condannava ad essere un “prete acefalo”. Presi la mia borsa e me ne andai dal suo studio, ma lei mi corse dietro e mi fermò fisicamente, dicendo al vicario che avrebbe risolto le difficoltà intercorse e confermò la mia nomina a parroco di San Torpete. Dopo un mese, arrivò la sua nomina non a parroco, ma ad Amministratore parrocchiale» figura giuridica con le funzioni di parroco, senza esserlo formalmente: insomma lei mi nominò precario a vita, come sono tutt’ora. Il cardinale Bagnasco conosce tutta la storia e anche altro.

Lei tiene a dire che “nei nostri colloqui fraterni ho raccolto le tue difficoltà personali cercando di aiutarti” e io faccio fatica a ricordare “colloqui fraterni” perché nella mia mente sono sedimentati solo ricordi di scontri, compreso quello inerente la nomina a bibliotecario della Franzoniana che lei propose, poi disdisse, poi ripropose e infine lasciò cadere senza nemmeno darmi direttamente una spiegazione plausibile, mentre si permise di dire ad un gruppo di preti che “io ce l’avevo con lei”.

Lei dice che ha «cercato di aiutarmi nelle difficoltà», e ci tengo a questo riguardo a dire che quando le feci presente, testimone il vicario generale, che in parrocchia non vi erano libri liturgici e arredi utilizzabili per la liturgia, lei mi fece avere dal suo segretario, don Stefano Olivastri, mille euro (che io scrissi nel bilancio della parrocchia, prenotando i lezionari e il messale: i bilanci sono depositati in curia e ho l’avvertenza di allegare anche i sottoconti). Ricevetti una parrocchia immersa nei debiti e inutilizzabile e, forse lei non lo ricorda, per oltre un anno è rimasta chiusa al pubblico, nonostante lei l’avesse inaugurata in pompa magna nel 2005.

Per un anno celebrai nella vicina chiesa di San Giorgio, senza che lei si scomponesse nella “sua benevolenza episcopale “. Il 7 dicembre 2005 lei venne a casa mia e le feci fare il giro di tutta la chiesa e della canonica e lei si mise le mani ai capelli per lo stato di degrado dei locali dove vivevo, dicendo: “e dire che me l’hanno anche fatta inaugurare!”. Mi disse anche di presentarle un progetto che lei poi propose insieme alla Biblioteca Franzoniana e alla Chiese delle Vigne in quel progetto ministeriale di recupero dei fondi ex colombiane e che con enorme fatica sto portando a compimento. Cominciai a celebrare in San Torpete il 16 luglio 2006. In seguito, fu il cardinale Bagnasco a darmi qualche suppellettile da altare che gli avevano regalato. Questo per la precisione. Ora veniamo al resto.

Lei ha ragione nel dire che “come sacerdoti possiamo e dobbiamo lavorare con cuore puro, senza odio e senza preconcetti ideologici”. Come non essere d’accordo? A me pare però che lei confonda la forza, forse anche la veemenza, la sofferenza e l’amore alla Chiesa per “odio” e “ideologia”. Posso tranquillizzarla con assoluta certezza: non so cosa sia l’ideologia e non conosco l’odio. Chi mi conosce dice che sono più materno che paterno ed è vero perché sono tenerissimo. Mi pare che lei confonda lo stile letterario con i sentimenti. Dico spesso al cardinale Bagnasco che ho sbagliato secolo: avrei dovuto nascere nel sec. II, quello dei “polemisti”, più consono al mio stile retorico. Da qui a dire che possa provare odio per lei o per Berlusconi ce ne corre; e molto.

Signor Cardinale, lei nella sua lettera però non risponde ad alcuno dei problemi che io ho posto e lo ammette: “Non commento le tue esternazioni, tanto sono marcate da accuse e interpretazioni infondate”. Libero di farlo, ma gli interrogativi restano nella loro pesantezza perché non mi aiuta a capire dove sta l’infondatezza. La domanda è: le cose che ho dette sono vere o sono false? Se sono vere lei mi dovrebbe ringraziare, se sono false, mi dovrebbe spiegare perché sono false. Lei non fa né l’una cosa né l’altra. Non può limitarsi a fare una semplice predica in cui non tanto velatamente mi fa passare per uno “stravagante”. O Dio, accetto tutto, ma non la non verità!

Al contrario nella sua risposta si domanda: “Che cosa ti fa agire in questo modo offensivo verso di me, verso la Chiesa che è in Genova, il suo presbiterio e il suo Pastore?”. Non capisco perché tira in ballo “la Chiesa che è in Genova, il suo presbiterio e il suo Pastore”, che io non nomino nemmeno. Col cardinale Bagnasco ho un rapporto personale, improntato a reciproca schiettezza e forse anche stima e con lui continuerò a rapportarmi in totale verità perché amo la Chiesa, forse più di Dio.

Se lei si è sentito offeso, sono pronto a chiederle scusa, ma se le cose che ho scritto sono vere soltanto per un decimo, allora lei una qualche scusa la deve dare non a Paolo Farinella, prete, che conta nulla, ma al popolo di Dio che lei dice di servire e che è rimasto scandalizzato dalla sua presenza a quella mostra in quelle circostanze e in quelle ore al fianco di Berlusconi ( ndr: Berlusconi che ha fatto ritardare l’inaugurazione perché impegnato a dare in Tv una risposta violenta alla Corte Costituzionale che poco prima aveva bocciato il lodo Alfano ). Il cardinale Bagnasco parla di “dovere istituzionale”, ma il suo e il mio primo dovere non è “istituzionale” verso un potere corrotto e corruttore, ma di testimonianza di quella Verità che esprime il Vangelo. Molti non hanno letto il suo discorso, per altro abbastanza ovvio, ma hanno visto le immagini che le tv hanno trasmesso: lei era accanto ad un presidente del consiglio, che, in quelle stesse ore, la Suprema Corte Costituzionale rimandava davanti al suo giudice naturale dove è accusato di corruzione di testimone e di giudice e di una serie di altri delitti che lei conosce meglio di me. Egli “voleva” apparire accanto a lei e voleva che tutti vedessero.

La gente che frequenta le nostre parrocchie dice: se il segretario di Stato del Papa, va a braccetto con Berlusconi nello stesso giorno in cui la sua corruzione è scoperta, vuol dire che lo protegge. Ne venivamo da una estate di fuoco che avrebbe ammazzato anche una mandria di bisonti: la moglie accusa il marito presidente del consiglio di frequentare minorenni; lui spergiura sui figli in tv e dà quattro versioni diverse del fatto; non solo non chiede scusa agli Italiani, ma si vanta di essere il loro modello; si paragona a Dio e a Gesù Cristo; paga le prostitute dando in cambio posti di ministre e di deputate; il suo magnaccia è indagato per tratta di prostitute e commercio di stupefacenti; dispensa al telefono suggerimenti erotici per amori saffici e soffici (registrazioni rese pubbliche); attacca il Presidente della Repubblica e frantuma la coesione dell’Italia, modificando con i suoi stili di vita l’antropologia del nostro popolo; incita alla illegalità, all’egoismo economico e alla furbizia di chi la fa franca … e lei si fa vedere a suo fianco sorridente, soddisfatto di approfittare “di tutte le forme istituzionali e pastorali che mi sono offerte”? Non credo che in quella “forma istituzionale” lei abbia “approfittato”.

Signor Cardinale, venga a vivere tra la gente comune e a sentire cosa si dice del fatto che il Papa abbia acconsentito a ricevere Berlusconi all’aeroporto dicendo: “Che piacere rivederla!”, mettendo così una pietra tombale sull’etica che si predica e sulla verità che si propaganda. Come faccio io prete a compiere il mio dovere, se un cardinale, sottoposto solo al Papa, dopo avere rifiutato la presenza del presidente del consiglio alla “perdonanza” dell’Aquila, si presenta accanto a lui senza alcuna precisazione o un qualche “distinguo”?

Oramai lo sappiamo, nel mondo berlusconizzato la verità non è più quella ontologica, ma solo quella che appare e che lui fa apparire, visto l’uso diabolico e criminoso che fa della tv. In questo “ciarpame”, l’unico che ha pagato le spese sull’altare della diplomazia interessata è stato il povero Dino Boffo che avete sacrificato alla “ragion di Stato” e delle convenienze. Il 7 agosto 2009 in un incontro riservato, avevo preventivato al cardinale Bagnasco quello che sarebbe successo in autunno dopo la nomina di Feltri a “Il Giornale” e di Belpietro a “Libero”. Dopo nemmeno tre settimane le mie previsioni si sono verificate tutte, una dopo l’altra come un rosario. La nostra gente è disorientata e, vedendo quelle immagini, si lascia andare: se il cardinale assolve Berlusconi, io mi assolvo da solo/da sola.

Lei dice di avere una “responsabilità di carattere universale, approfittando di tutte le forme istituzionali e pastorali che mi sono offerte”. Lo credo e non la invidio affatto, ma non a qualunque costo, non a qualunque prezzo. Nel suo discorso alla mostra, non ho letto un cenno alla situazione degradata che abbiamo e stiamo ancora vivendo, a motivo dei comportamenti e delle scelte disumane dell’attuale governo (una per tutte: legge sul reato di clandestinità, che grida vendetta al cospetto di Dio, Padre di tutti gli uomini e di tutte le donne, creati a sua immagine e somiglianza).

Lei ha parlato da diplomatico, e, a mio parere, non da sacerdote. Prima di fare il discorso e a microfoni aperti alla mostra di Genova, io penso che avrebbe dovuto invitare il presidente del consiglio a chiedere scusa per il suo operato, tanto più in contraddizione, in quanto lui si spaccia per cattolico credente. Oppure, avrebbe dovuto dire: “Signor presidente del consiglio, sono qui per inaugurare una mostra, ma non pensi che la mia presenza possa essere una assoluzione preventiva per il suo comportamento deplorevole e scandaloso che esige una riparazione pubblica”. Lei non lo ha fatto, ma si è adeguato diplomaticamente alla bisogna e se non ha messo in imbarazzo il presidente del consiglio, non ha reso, a mio modesto parere, un servizio alla Chiesa.

Ho ricevuto migliaia di lettere, migliaia di e-mail e di telefonate di adesione e non creda che tutto questo mi faccia piacere perché è una sofferenza per me sentirmi dire che “se sono ancora nella Chiesa è perché vi sono preti come lei”. La gente crede di farmi un complimento, invece affonda il coltello nella piaga perché è il segno che le persone dietro al Vangelo corrono a braccia spalancate, ma si fermano davanti agli interessi e ai comportamenti degli uomini di Chiesa che dovrebbero testimoniare la vita eterna, l’amore di Dio e la via del Vangelo. Forse lei e gli altri “eminentissimi” vivete troppo nel palazzo ovattato di incenso e di onori, e vi sfugge il polso feriale della gente comune che pretende da noi coerenza e verità. Sì, io mi aspetto dai miei vescovi che mi siano di esempio, di esempio trasparente e se vogliono che non mi occupi di politica e di politici, comincino a farlo loro e io li seguirò obbediente e pacifico.

Paolo Farinella, prete cattolico (poco romano)

4 ottobre 2009: don Paolo Farinella

Le lettere dei due cardinali a don Farinella


LA LETTERA DI BERTONE


Rev.do don Farinella,

dopo un tempo di silenzio e paziente sopportazione, sento in prima persona il dovere di rispondere alle tue aspre critiche contro di me e contro il mio ministero a fianco del Santo Padre Benedetto XVI.
Non commento le tue esternazioni, tanto sono marcate da accuse e interpretazioni infondate. Ti ricordo solamente che come sacerdoti possiamo e dobbiamo lavorare con cuore puro, senza odio e senza preconcetti ideologici, ma con la forza dell’annuncio evangelico, per il bene della Chiesa e di ogni persona umana: io lo faccio ora con una responsabilità di carattere universale, approfittando di tutte le forme istituzionali e pastorali che mi sono offerte (ti mando le parole che hopronunciato in occasione dell’inaugurazione della Mostra “Il Potere e la Grazia. I Santi patroni d’Europa”).
Mi addolora il tuo comportamento, anche perché nei tuoi confronti ho sempre agito con benevolenza durante il mio episcopato genovese; ti ho nominato Amministratore parrocchiale dela parrocchia personale e gentilizia di S.Maria Immacolata e San Torpete e nei nostri colloqui fraterni ho raccolto le tue difficoltà personali cercando di aiutarti. Che cosa, in realtà, ti fa agire in questo modo offensivo verso di me, verso la Chiesa che è in Genova, il suo presbiterio e il suo Pastore?
Chiediamo l’aiuto del Signore per discernere e purificare le nostre intenzioni e per dare il buon esempio, come sacerdoti e seguaci di Cristo, che hanno a cuore la comunione ecclesiale.

Ti saluto augurandoti il bene di cui hai bisogno.

Tarcisio Card. Bertone


LA LETTERA DI BAGNASCO

Reverendo don Paolo,

accompagno la lettera che S.Em.za il Card. Tarcisio Bertone, Segreteria di Stato Vaticano, ti ha inviato e che viene pubblicata per suo esplicito desiderio, essendo le tue dichiarazioni verso di lui e verso il suo ministero note a tutti in quanto da te rese pubbliche.
Mi spiace non poco, come ho avuto occasione di dirti nei ripetuti colloqui che abbiamo avuto anche di recente, il comportamento che da tempo hai assunto verso la persona e l’operato del Cardinale Bertone, che hai conosciuto personalmente quando era Arcivescovo di Genova e del quale tutti hanno apprezzato la paternità sacerdotale e lo zelo pastorale.
La facilità di giudicare tutto e tutti, senza peraltro conoscere molti aspetti delle questioni e attribuendo gratuitamente intenzioni a chi è da te giudicato, oltre a non portare nulla di costruttivo, è un atteggiamento che suscita in molti - cristiani e non - non poco stupore e disappunto. Ti rinovo la mia vicinanza di Padre e Pastore in comunione di preghiera al Signore Gesù Cristo, unico Salvatore.

Angelo Card. Bagnasco


http://ilsecoloxix.ilsole24ore.com/p/genova/2009/10/22/AMjBBL2C-cardinali_lettere_farinella.shtml

venerdì 23 ottobre 2009

Berlusconi escapes censure on media

By Tony Barber in Brussels

Published: October 21 2009


Silvio Berlusconi, the Italian prime minister and media tycoon, narrowly escaped condemnation by the European parliament on Wednesday when MEPs rejected a motion deploring a lack of media freedom in Italy.

By 338 votes to 335 with 13 abstentions, Mr Berlusconi’s Italian supporters and other centre-right MEPs threw out a proposal for a European Commission law to protect media pluralism and crack down on concentration of media ownership.

The vote, though close, was a setback for Mr Berlusconi’s opponents in the Strasbourg-based parliament, who in April 2004 embarrassed his government by adopting a report that attacked his dominance over Italy’s media landscape.

The latest motion drew attention to Mr Berlusconi’s decision to take or threaten legal action against various Italian and other European news organisations that have reported extensively on alleged sex scandals in his private life.

The motion asserted that Rai, the Italian state broadcaster, over which Mr Berlusconi exerts influence by virtue of his role as premier, had paid scarcely any attention to these scandals, “whereas Mr Berlusconi went on air on two occasions alone and unchallenged”.

Mr Berlusconi’s political allies and business associates have for many years dismissed attacks on his media power as malicious and ill-informed.

Mediaset, the Berlusconi family-owned media group, and Rai attract about 90 per cent of Italy’s terrestrial television audiences, a state of affairs that centre-left Italian politicians denounce as a threat to media freedom. In addition, the Berlusconi business empire is Italy’s market leader in TV advertising.

Mr Berlusconi’s 2001-2006 government passed a law that purported to address this conflict of interests, but the unsuccessful parliamentary motion described the legislation as inadequate, saying: “The issue at the heart of the conflict of interests . . . is that the prime minister still controls the company Mediaset and has political control over the public service sector”.

The motion, which was backed by socialists, liberals, Greens and the far left, appeared to have a good chance of winning the parliament’s approval two weeks ago, when an MEPs’ debate revealed considerable anger and unease over Mr Berlusconi’s media power.

But centre-right parties are the much the largest force in the assembly, having won last June’s European elections, and their numerical strength eventually prevailed.

The motion was defeated one day after Reporters Without Borders, a global media watchdog, published its annual report and ranked Italy 49th out of 173 countries in terms of media freedom.

The report put part of the blame on Mr Berlusconi’s return to power in 2008, but also issued a warning about Mafia influence. “The grip of Mafia gangs on the media sector is strengthening and forcing a large number of journalists to tread warily,” the report said.

Copyright The Financial Times Limited 2009

http://www.ft.com/cms/s/0/41f9a84c-be59-11de-9195-00144feab49a.html

giovedì 22 ottobre 2009

La fabbrica di Babbo Natale

Repubblica — 21 ottobre 2009 - dal nostro inviato :

YIWU - Sulle mappe cinesi, o nelle guide, non è segnata. Yiwu però non è solo la città più ricca della Cina. Per gli economisti della Banca Mondiale è ormai la più importante del pianeta. Fino a vent' anni fa era un villaggio tra le risaie e i campi di grano, nel delta dal fiume Yangzi: centomila contadini poveri dello Zhejiang, seminati a sud del lago Tai, che Marco Polo ha descritto come «il paradiso». Una sola gloria: qui è nato l' uomo che ha tradotto il Manifesto in mandarino. Oggi conta oltre due milioni di abitanti, immigrati da tutta la nazione e da cento Paesi. Trentacinquemila stranieri lavorano in tremila imprese internazionali. Ha un aeroporto di cristallo, quattromila hotel, seicento grattacieli, centodieci banche. Tutto nuovo. Ancora una sola, ma aggiornata, gloria: è il mercato più grande della terra. Per ordine delle autorità di Pechino, era partito con qualche bancarella. Negli ultimi otto anni, dopo che lo Stato ha investito dieci miliardi di euro, sono stati costruiti quattro milioni di metri quadrati di esposizione permanente al coperto. Entro due anni la superficie supererà i cinque milioni. Yiwu non è così rimasto il più impressionante esperimento di produzione e di commercio di massa della storia. È il luogo in cui oggi si fabbrica e si vende il novanta per cento dei beni a basso costo acquistabili nei negozi di tutto il mondo. Ed è, per questo, l' unico dove la crisi non è arrivata. Ha un giro d' affari ufficiale da quaranta miliardi di euro all' anno, con una crescita costante del quindici per cento. Il segreto dell' «International Trade Mart» è semplice: produrre e vendere al prezzo più basso, in ogni giorno dell' anno e nello stesso posto, tutto. Non è nemmeno più una città degli affari. È un laboratorio perfetto, programmato per trasformare qualsiasi materia prima in denaro. Si fonda sul «consumo globale». Gli ex contadini di Mao Zedong, riciclati in scienziati di Robert Lucas senza nostalgie, lo considerano «il motore perpetuo del futuro». Per alimentarlo impiega sessantaduemila stand all' ingrosso, duecentomila commercianti e centomila industrie. Offre un milionee settecentomila prodotti diversi a duecentomila clienti al giorno provenienti da tutto il pianeta. Consegna seicentomila container di merce all' anno in oltre duecento nazioni e regioni diverse. Il cuore della macchina è il gigantesco mercato. Ogni venditore ha quattordici metri quadrati di negozio, concessi dal funzionario locale del partito comunista. Affitto statale da cinquantamila euro all' anno: più di uno showroom in centro a Londra. Quattordici metri quadrati, qui, rendono però come venti grandi negozi nelle più ricche metropoli di Usa e Giappone. Attorno a queste preziose «vetrine globali» si distendono i capannoni. Qualche milione di operai, lavorando a ciclo continuo a non più di un' ora dal luogo della vendita, producono all' istante ciò che il grossista chiede. Oltre gli stabilimenti, sconfinati dormitori, tutti uguali, anonimi e distinti da numeri. A chiudere il cerchio, i terminal per le spedizioni: più in là, binari, autostrade, canali che conducono al Mar Giallo. Qualsiasi articolo interessi, previo anticipo del trenta per cento in contanti, viene consegnato ovunque e in qualunque quantità entro due settimane, senza costi aggiuntivi. Si può vagare per settimane lungo chilometri di corridoi dove è esposto tutto ciò che l' umanità ritiene di poter scambiare e gli umani sono indotti, prima o poi, a desiderare. La sensazione più violenta, assieme alla vista dei beni materiali che assedieranno le nostre vite e riempiranno le nostre case nei prossimi anni, è però un' altra. Risulta evidente il compiuto trasferimento da Occidente a Oriente del baricentro economico del mondo, l' impossibilità di resistere delle strutture commerciali europee, e dei vecchi distretti industriali, concepiti nel secolo concluso. Perché l' onda commerciale che si alza da Yiwu,e da Canton peri beni di qualità, travolge anche le imprese occidentali più avanzate. Hu Yan Hu, amministratore della città-simbolo del capitalismo interpretato secondo la «via cinese al socialismo», lo spiega così: «Tenere sempre gli occhi su ciò che succederà dopo, essere sempre pronti a fare un' altra cosa, approfittare sempre delle crisi: e fare sempre tutto per primi». I commercianti della «China Commodity City», in questo, sono i migliori al mondo e si vede. In ogni stand ci sono cinque venditori. Uno tratta con i clienti di passaggio. Uno smista gli ordini che arrivano al computer. Uno investe immediatamente i soldi incassati nella Borsa di Shanghai, o di Hong Kong. Uno gira il mercato e le industrie della zona per studiare prodotti e prezzi dei concorrenti. Uno,a turno, mangiao dorme tra la merce. Gridano e contano muretti di banconote. Allevano bambini nati e cresciuti tra gli scatoloni. Succhiano zuppa disidrata mentre pescano biglietti da visita che tracimano dai secchi, di colore diverso in base ai tempi di solvibilità del cliente. Trasformano gli ordini in sconto, in base alla quantità, con disorientante rapidità. Sorridono sempre e assicurano che «le cose non sono mai andate così bene». Di ogni prodotto sanno citare, a memoria, il prezzo spuntabile in ogni nazione del pianeta e il margine medio di guadagno potenziale per il dettagliante. Non hanno frequentato università. Si limitano ad applicare poche regole, esibendo il piacere di eseguire un gioco semplice, ma a regola d' arte: «Costare di meno - dice Jin Fang, venditore di certe nuove treccine elettriche colorate da sera - e offrire di più. Avere ciò che nessun altro ha e fare in modo che tutti ne abbiamo bisogno». Altrove suonerebbe come una formuletta scontata. A Yiwu, «per contribuire al successo della Cina», l' hanno trasformata nel miracolo economico del nuovo millennio. Una città per le pentole, una per le parrucche, una per le bilance, una per le conchiglie, una per i palloni, una per i cellulari, una per le matite, una per le cravatte, una per i trapani, una per le collane, una per i coltelli, una per i tavoli, una per il piercing, una per le borsette, una per le opere d' arte, una per i mobili antichi di ogni epoca e così via per 34217 classi di prodotti, dalla vite in titanio per microscopi alla gabbiastereo per merli indiani. C' è il quartiere che pensa ai matrimoni, quello che vive per i funerali, per i battesimi, per i compleanni, per la laurea, per San Valentino, per Halloween, per Pasqua, o per Capodanno. Il più sconfinato è ovviamente il padiglione di Natale. Da qui sta uscendo il 92% dei regali che il mondo si scambierà in dicembre, il 94% di ciò che viene appeso per addobbare un abete e l' 86% delle decorazioni per case, uffici e negozi. Babbo Natale, dalla Lapponia, siè trasferito sotto Shanghai. «E' semplice - dice Jamal Flaieh, esportatore giordano - tu giri e devi poter trovare tutto ciò che nella vita da qualche parte hai visto, o non hai mai nemmeno immaginato, scoprendo che costa quasi nulla». La concentrata declinazione materiale della vita sulla terra, dal materassino da Caraibi alla tenda da Himalaya, riserva infatti all' etichetta il colpo di scena finale. Finezze orientali: il valore delle cose è tra 50 e 200 volte, per alcuni beni anche 1000 volte, più basso di quello che ci viene proposto quando decidiamo di fare un acquisto. «Tre anni fa- dice Liu Zhuo Ying, direttrice della compagnia statale che gestisce la città-mercato - abbiamo visto un problema: il mondo non ha più abbastanza soldi per pagare la vita che tutti pretendono di fare. La soluzione non è rinunciare a qualcosa, ma poterla avere per meno e volerla piuttosto comprare, in tempi diversi, più volte. Abbiamo sottratto la cifra mancante alla spesa globale e abbassato il prezzo di ogni cosa del doppio della percentuale. Gli ordini non si sono limitati a ripartire: si sono moltiplicati per quattro». Yiwu ha così ridefinito la sfida cinese a non restare solo la fabbrica del pianeta, ma a diventare anche il suo unico negozio: consumi da ricchi a prezzi da poveri. Spiegare come, porterebbe lontano. Ma è una metamorfosi invisibile, che sta ridisegnando la geografia della ricchezza. «America ed Europa - dice il sindaco Lu Xuhang- comprano meno. Sono state rimpiazzate da Cina, India e Medio Oriente. Prodotti diversi: ma il saldo, per noi, è in attivo. Una sola preoccupazione: Vietnam e Cambogia, se non spicchiamo un altro balzo, potrebbero costare ancora meno di noi». Li Jundao, venditore di scheletri fosforescenti, semplifica: «Spedivo tutto in due porti di California e Olanda, in inglese. Ora mando verso trentaquattro destinazioni, con etichette in sedici lingue». I primi due clienti, in città, oggi sono Sudafrica e Brasile. Per Città del Capo sta partendo tuttò ciò che vedremo ai Mondiali di calcio dell' anno prossimo. Da Rio de Janeiro è già arrivata la delegazione che deve trasformare in un affare le Olimpiadi del 2016. Per questo, negli hotel esauriti per l' Expo d' Autunno, si aggirano industriali cinesi, mercanti turchi ed egiziani, stilisti indiani, banchieri di Singapore e pubblicitari giapponesi. Hanno letto l' anima dei nostri sogni standardizzati e plasmano il nuovo profilo del «mondo low cost», contando al centesimo la migrante capacità globale del consumo. Basta una frase urlata da una branda tra gli zainetti Disney, «questo non va più»,e per un glorioso protagonista dell' apocalittico show dello scambio, è una sentenza di morte. Attorno a tale inafferrabile ma decisiva entità superiore, che a Yiwu chiamano «la corrente perpetua», in quest' angolo di Cina che salva e terrorizza, crescono parchi, campi da Golf, ville di lusso. Era un esperimento economico comunista, è diventato il più invidiato modello di vita capitalista: ciò che vedremo dopo esserci accorti che il mondo è già oltre il superato «made in China». Nel padiglione degli ombrelli, che occupa la superficie di quattro stadi, due imprenditori sedicenni di Guangzhou stanno lanciando quelli riciclabili. Appena smette di piovere, si buttano via: sette centesimi l' uno. «Sei europeo - si stupiscono - e vuoi restare ricco? Difficile. Ti restano due affari: bellezza-immagine e vita quotidiana. Apparenza e necessità: non vi resta altro. Ma metti a uno ciò che mettevi a cento e vedi di venderne mille». Ecco perché Yiwu non è sulle mappe: non serve, ci si arriva.
GIAMPAOLO VISETTI

martedì 20 ottobre 2009

Berlusconi's TV channel stalks anti-bribes judge

Hidden TV crew spies on Milan magistrate whose ruling infuriated Italian PM

By Michael Day in Milan

Monday, 19 October 2009

A television channel owned by the media empire of Silvio Berlusconi, the Italian Prime Minister, has been accused of an extraordinary attempt to harass the judge who earlier this month ruled against his business empire in a bribery case.

Within days of magistrate Raimondo Mesiano ordering Berlusconi's Fininvest group, his financial holding company, to pay €750m (£680m) in compensation to a rival company, the prime minister's flagship Canale 5 channel began secretly filming the magistrate in the streets of Milan as he went about his business.

The results were beamed to millions on the Mattino 5 programme, accompanied by a voiceover that ridiculed Mesiano for his "extravagant" and "eccentric behaviour", his "impatience", and, most bizarrely, the fact that he wore turquoise socks. Mesiano appeared to have done nothing stranger than go for a shave, and smoke cigarettes outside the barber shop while awaiting his turn.

The video has raised tensions between Berlusconi and the judiciary even further following the Constitutional Court's decision earlier this month to strip thePrime Minister of his immunity from prosecution – thus making it likely that he will have to return to court on corruption charges.

At the weekend, the national magistrates association, CSM, expressed outrage that the judge had been secretly shadowed during his free time. "We don't think there are precedents in Italy for denigrating a person and seeking to cast aspersions about ordinary everyday activities," the association said. It has reported the incident to the privacy watchdog, which is said to be investigating.

"The worst thing – the thing that really gives you the shivers – is the shadowing, the spying, the violation of privacy, the public ridicule, with the implied warning: look out, we're watching you," one journalist wrote in La Stampa on Saturday. He added that the harassment of a judge in this way was something that so far "we've seen only in the movies".

Dario Franceschini, leader of the Democratic Party, said: "Mesiano was simply guilty of doing his job as a judge." On Twitter he called on people to wear turquoise socks to show support for the judge.

But most tellingly, Berlusconi's political allies and some insiders in Mediaset, which broadcasts Canale 5, also said they were appalled by the report. One Mediaset writer told The Independent yesterday: "This is the most disgraceful, pathetic and witless thing I've ever seen."

Enrico Mentana, a prominent journalist and former director of Berlusconi's Canale 5, said: "This was an action designed to offend someone who made an enemy of the company [Mediaset] simply by doing his job." He called on Fedele Confalonieri, Mediaset's president and a senior Berlusconi lieutenant, "to get a grip on things".

Mauro Crippa, Mediaset's head of news, issued a combative statement defending what he said was an "objective broadcast" on a figure who had risen to "national and international prominence". He added: "We don't accept lectures from those who have routinely used spying as a journalistic method", in an apparent reference to the newspapers' coverage of the sex scandals involving the Prime Minister.

Berlusconi was likely to have been further angered when he heard that Mesiano was promoted in the judiciary within days of the Fininvest ruling.


http://www.independent.co.uk/news/world/europe/berlusconis-tv-channel-stalks-antibribes-judge-1805240.html

sabato 17 ottobre 2009

United States admits tackling Italians over payments to the Taleban

From Times Online
October 17, 2009

Tim Reid in Washington

The US Government acknowledged for the first time yesterday that payment of protection money to the Taleban by Italian forces in Afghanistan was discussed by American officials and their Italian counterparts last year.

A senior US official confirmed, two days after The Times reported that Italian authorities had paid the bribes, that “the issue [of payments] was raised with the Italians”.

The official would neither confirm nor deny that the representation to Silvio Berlusconi’s Government was in the form of a démarche or diplomatic protest, but Nato officials have told The Times that such a complaint was made by the US in Rome last year.

The payment of Italian protection money was revealed after the deaths of ten French soldiers in August 2008 at the hands of a large Taleban force in Sarobi, east of Kabul. French forces had taken over the district from Italian troops, but were unaware of the secret Italian payments to local commanders to stop attacks on their forces, and misjudged threat levels.
The day after The Times report, a Taleban commander and two senior Afghan officials also said that Italian forces had struck deals to prevent attacks on their troops.

Bruce Riedel, who headed President Obama’s Afghanistan policy review this year but is no longer inside the Administration, told The Times that he heard allegations of the Italian payments during a trip to Paris in the last week of September. A businessman with close ties to the French Government told him that the Italians had been paying the Taleban “but had forgotten to tell us [the French]”, Mr Riedel said.

Rome has angrily denied the report. “The Berlusconi Government has never authorised nor has it allowed any form of payment toward members of the Taleban insurgency,” said a statement by the office of the Italian Prime Minister.

Ignazio La Russa, Italy’s Defence Minister, insisted that the allegations were “absolute rubbish”. The French Opposition, however, has demanded an urgent explanation to Parliament, describing the details as “very serious”.

Yesterday Hervé Morin, the French Defence Minister, said the idea that an army might pay Taleban insurgents not to attack them would breach established military doctrine. He added: “I have no reason to question the word of the Italian Government.”

Canada has also been forced to deny reports that its soldiers paid the enemy in Afghanistan to keep the peace. A foreign wire service quoted an Afghan Army source as saying that Canadian soldiers in Kandahar province, in the Taleban-strong south, had made payments to insurgents.

“I haven’t heard of any type of payment that would be done by our troops in order to remain protected,” said Lieutenant-Colonel Chris Lemay, a spokesman with the Canadian Expeditionary Forces Command. “With the number of casualties we’ve been getting, had we paid these guys they wouldn’t be holding up their end of the bargain.”

http://www.timesonline.co.uk/tol/news/world/us_and_americas/article6878547.ece

Consiglio Onu: "A Gaza crimini di guerra e contro l'umanità"

Il Consiglio per i diritti umani dell'Onu ha adottato il rapporto Goldstone sull'offensiva israeliana del gennaio scorso a Gaza, in cui si accusano sia Israele che Hamas di aver commesso crimini di guerra e possibili crimini contro l'umanità. L'adozione del rapporto è passata con 25 voti a favore, 6 contrari e 11 astenuti. I voti contrari sono arrivati da Stati Uniti, Italia, Olanda, Ungheria, Slovacchia e Ucraina. Cina, Russia, Egitto e Brasile hanno votato a favore.

Nel rapporto di 575 pagine la commissione d'indagine guidata da Richard Goldstone, un ex giudice costituzionale sudafricano, chiede che Israele e Hamas indaghino entro sei mesi in modo credibile sui crimini di guerra commessi durante l'offensiva Piombo Fuso, tra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio 2009, chiedendo in caso contrario che il Consiglio di sicurezza dell'Onu deferisca la questione al Tribunale penale internazionale.

Israele aveva tentato in ogni modo di impedire che nella sessione speciale svoltasi a Ginevra il Consiglio facesse proprio il rapporto Goldstone, che considera «viziato». Per il premier Benjamin Netanyahu il rapporto è un premio al terrorismo e una minaccia per il processo di pace.

Nella risoluzione, sostenuta dai Paesi arabi, africani e dell'Organizzazione della Conferenza islamica, «si adottano le raccomandazioni contenute nel rapporto» e si sollecitano tutte le istituzioni, comprese quelle dell'Onu, a «favorirne l'attuazione». La risoluzione tuttavia contiene numerosi riferimenti a Israele, compreso uno alle «recenti violazioni dei diritti umani a Gerusalemme est», ma nessuno a Hamas e per questo è stata criticata dallo stesso Goldstone.

Israele ha reagito con asprezza, sostenendo che la risoluzione adottata indebolisce gli sforzi per la pace in Medio Oriente. Secondo il ministero degli esteri il rapporto è «iniquo» e incoraggia «le organizzazioni terroriste in tutto il mondo». L'approvazione del rapporto Goldstone è stato accolta, invece, con entusiasmo da Hamas, che prese il potere a Gaza con elezioni regolari nel gennaio del 2006 e lo consolidò nel 2007 con un golpe che cacciò Fatah dalle leve di comando.

Il gruppo fondamentalista palestinese ha «ringraziato i Paesi amici» e ha sottolineato la necessità di «andare avanti su questa strada, e fare in modo che i criminali sionisti siano messi sotto processo». Nabil Abu Rudeinah, portavoce di Abu Mazen, presidente dell'Autorità nazionale palestinese, ha messo l'accento sulle raccomandazioni contenute del rapporto e sulla loro attuazione affinchè sia garantita «al popolo palestinese la protezione dall'aggressione israeliana».

http://www.unita.it/news/mondo/89866/consiglio_onu_a_gaza_crimini_di_guerra_e_contro_lumanit

venerdì 16 ottobre 2009

Italians bribed the Taleban all over Afghanistan, say officials



From The Times
October 16, 2009

Tom Coghlan

A Taleban commander and two senior Afghan officials confirmed yesterday that Italian forces paid protection money to prevent attacks on their troops.

After furious denials in Rome of a Times report that the Italian authorities had paid the bribes, the Afghans gave further details of the practice. Mohammed Ishmayel, a Taleban commander, said that a deal was struck last year so that Italian forces in the Sarobi area, east of Kabul, were not attacked by local insurgents.

The payment of protection money was revealed after the death of ten French soldiers in August 2008 at the hands of large Taleban force in Sarobi. French forces had taken over the district from Italian troops, but were unaware of secret Italian payments to local commanders to stop attacks on their forces and consequently misjudged local threat levels.

Mr Ishmayel said that under the deal it was agreed that “neither side should attack one another. That is why we were informed at that time, that we should not attack the Nato troops.” The insurgents were not informed when the Italian forces left the area and assumed they had broken the deal. Afghan officials also said they were aware of the practice by Italian forces in other areas of Afghanistan.
A senior Afghan government official told The Times that US special forces killed a Taleban leader in western Herat province a week ago. He was said to be one of the commanders who received money from the Italian Government. A senior Afghan army officer also repeated the allegation, adding that agreements had been made in both Sarobi and Herat.
The report prompted the French Opposition to demand an urgent explanation to parliament, describing the details as “very serious”. The Defence Ministry said that it was aware of “rumours” that linked bribery to the ambush but claimed that the reports had no basis.

In Rome, Ignazio La Russa, the Defence Minister, insisted the allegations were “absolute rubbish”. He said: “I had been minister for a short time [in the summer of 2008], I’ve never received news from the secret services of payment to the chiefs of the Taleban.”

The minister added that a benevolent attitude toward the Italians who serve in Afghanistan had nothing to do with alleged bribes, but was due, instead, to “the behaviour of our military, which is very different compared to that of other contingents”.

A statement released by the office of Silvio Berlusconi, the Italian Prime Minister, also denied the claims. “The Berlusconi Government has never authorised nor has it allowed any form of payment toward members of the Taleban insurgency,” it said.

Neither, the statement continued, did it know of any such payment by the previous Government.

Mr Berlusconi was elected for a third non-consecutive term in April 2008, replacing the centre-left Government headed by Romano Prodi.

The statement pointed out that in the first half of last year the Italian contingent suffered “several attacks”, including in the Sarobi district where one soldier, Francesco Pezzulo, was killed in February 2008.

The US Embassy in Rome declined to confirm or to deny the report that US officials issued a démarche, an official complaint, to the Italian Government over alleged payments to insurgents in June 2008.

A spokesman said that the embassy “does not comment on internal diplomatic conversations that may or may not have occurred”.

The Italian Defence Ministry confirmed on Wednesday that the US Government had raised the issue of payments to insurgents, but said that it was not a formal protest, but rather an “informal request for information” about such payments.

Mr Prodi also denied knowledge of the alleged payments to local insurgents.

He told The Times: “This is the first time I have ever heard such accusations and I can say that there is no base for them. I know absolutely nothing of this.”

Fabio Evangelisti, of the opposition Italy of Values party, said: “The details of the case, charged by The Times, appear per se to be serious and worthy of maximum attention and assessment by our Government. The ready denials of Ministers La Russa and Rotondi are not sufficient to dissipate the doubts and insinuations about our military operations.”

http://www.timesonline.co.uk/tol/news/world/Afghanistan/article6877142.ece

French troops were killed after Italy hushed up ‘bribes’ to Taleban

From The Times
October 15, 2009

Tom Coghlan

When ten French soldiers were killed last year in an ambush by Afghan insurgents in what had seemed a relatively peaceful area, the French public were horrified.

Their revulsion increased with the news that many of the dead soldiers had been mutilated — and with the publication of photographs showing the militants triumphantly sporting their victims’ flak jackets and weapons. The French had been in charge of the Sarobi area, east of Kabul, for only a month, taking over from the Italians; it was one of the biggest single losses of life by Nato forces in Afghanistan.

What the grieving nation did not know was that in the months before the French soldiers arrived in mid-2008, the Italian secret service had been paying tens of thousands of dollars to Taleban commanders and local warlords to keep the area quiet, The Times has learnt. The clandestine payments, whose existence was hidden from the incoming French forces, were disclosed by Western military officials.

US intelligence officials were flabbergasted when they found out through intercepted telephone conversations that the Italians had also been buying off militants, notably in Herat province in the far west. In June 2008, several weeks before the ambush, the US Ambassador in Rome made a démarche, or diplomatic protest, to the Berlusconi Government over allegations concerning the tactic.

However, a number of high-ranking officers in Nato have told The Times that payments were subsequently discovered to have been made in the Sarobi area as well.

Western officials say that because the French knew nothing of the payments they made a catastrophically incorrect threat assessment.

“One cannot be too doctrinaire about these things,” a senior Nato officer in Kabul said. “It might well make sense to buy off local groups and use non-violence to keep violence down. But it is madness to do so and not inform your allies.”

On August 18, a month after the Italian force departed, a lightly armed French patrol moved into the mountains north of Sarobi town, in the district of the same name, 65km (40 miles) east of Kabul. They had little reason to suspect that they were walking into the costliest battle for the French in a quarter of a century.

Operating in an arc of territory north and east of the Afghan capital, the French apparently believed that they were serving in a relatively benign district. The Italians they had replaced in July had suffered only one combat death in the previous year. For months the Nato headquarters in Kabul had praised Italian reconstruction projects under way around Sarobi. When an estimated 170 insurgents ambushed the force in the Uzbin Valley the upshot was a disaster. “They took us by surprise,” one French troop commander said after the attack.

A Nato post-operations assessment would sharply criticise the French force for its lack of preparation. “They went in with two platoons [approximately 60 men],” said one senior Nato officer. “They had no heavy weapons, no pre-arranged air support, no artillery support and not enough radios.”

Had it not been for the chance presence of some US special forces in the area who were able to call in air support for them, they would have been in an even worse situation. “The French were carrying just two medium machine guns and 100 rounds of ammunition per man. They were asking for trouble and the insurgents managed to get among them.”

A force from the 8th Marine Parachute Regiment took an hour and a half to reach the French over the mountains. “We couldn’t see the enemy and we didn’t know how many of them there were,” said another French officer. “After 20 minutes we started coming under fire from the rear. We were surrounded.”

The force was trapped until airstrikes forced the insurgents to retreat the next morning. By then ten French soldiers were dead and 21 injured.

The French public were appalled when it emerged that many of the dead had been mutilated by the insurgents— a mixed force including Taleban members and fighters from Hizb e-Islami.

A few weeks later French journalists photographed insurgents carrying French assault rifles and wearing French army flak jackets, helmets and, in one case, a dead soldier’s watch.

Two Western military officials in Kabul confirmed that intelligence briefings after the ambush said that the French troops had believed they were moving through a benign area — one which the Italian military had been keen to show off to the media as a successful example of a “hearts and minds” operation.

Another Nato source confirmed the allegations of Italian money going to insurgents. “The Italian intelligence service made the payments, it wasn’t the Italian Army,” he said. “It was payments of tens of thousands of dollars regularly to individual insurgent commanders. It was to stop Italian casualties that would cause political difficulties at home.”
When six Italian troops were killed in a bombing in Kabul last month it resulted in a national outpouring of grief and demands for troops to be withdrawn. The Nato source added that US intelligence became aware of the payments. “The Italians never acknowledged it, even though there was intercepted telephone traffic on the subject,” said the source. “The démarche was the result. It was not publicised because it would have caused a diplomatic nightmare. We found out about the Sarobi payments later.”
In Kabul a high-ranking Western intelligence source was scathing. “It’s an utter disgrace,” he said. “Nato in Afghanistan is a fragile enough construct without this lot working behind our backs. The Italians have a hell of a lot to answer for.”
Haji Abdul Rahman, a tribal elder from Sarobi, recalled how a benign environment became hostile overnight. “There were no attacks against the Italians. People said the Italians and Taleban had good relations between them.
“When the country [nationality of the forces] changed and the French came there was a big attack on them. We knew the Taleban came to the city and we knew that they didn’t carry out attacks on the Italian troops but we didn’t know why.”
The Italian Defence Ministry referred inquiries to the Prime Minister’s Office. A spokesman said: “The American Ambassador in Rome did not make any formal complaint. He merely asked for information, first from the previous Government and then from the current Government. The allegations were denied and they are totally unfounded.”

Silvio Berlusconi, the Prime Minister, defeated Romano Prodi at elections in April 2008.
The claims are not without precedent. In October 2007 two Italian agents were kidnapped in western Afghanistan; one was killed in a rescue by British special forces. It was later alleged in the Italian press that they had been kidnapped while making payments to the Taleban.

http://www.timesonline.co.uk/tol/news/world/Afghanistan/article6875376.ece

Canale 5 ''pedina'' il giudice Mesiano

Canale 5 ''pedina'' il giudice Mesiano
Il magistrato del verdetto Fininvest-Cir seguito da una telecamera: ''Stravaganti i suoi comportamenti''
Il servizio andato in onda ieri nella trasmissione Mattino Cinque.


mercoledì 14 ottobre 2009

Silvio Berlusconi, le début de la fin ?

NOUVELOBS.COM 14.10.2009

Après la levée par la cour constitutionnelle de son immunité, les intellectuels italiens dénoncent sa dérive populiste. Nouvelobs.com publie les points de vue de 5 écrivains et metteurs en scène.
Antonio Tabucchi, écrivain
"Aux dix questions que La Repubblica pose à Silvio Berlusconi depuis quatre mois, j’en ajouterais deux pour ma part.La première: "Est il normal dans une démocratie occidentale qu’un Président du Conseil possède un bunker protégé par le secret d’Etat dans sa villa La Certosa en Sardaigne?" La deuxième : "Est il normal que Wladimir Poutine, en visite en Sardaigne chez Berlusconi y arrive avec un croiseur russe non contrôlé?".
Il y a longtemps que je dénonce les dangers que court la liberté de presse en Italie. Dans "Le pas de l’oie", sorti en 2002, je disais que l’Italie n’appartient qu’en apparence aux démocraties européennes. Son opposition ne me semble pas à la hauteur pour contrer le phénomène populiste. Lors des attaques de Berlusconi contre les journaux, elle s’est contenter de distribuer des tee shirts barrés d’un 'Dénoncez nous tous'. Il aurait été préférable d’écrire: « Dénoncez le tous » et d’inviter les citoyens à mettre Berlusconi à l’index pour ses atteintes à la Constitution."

Andrea Camilleri, écrivain, auteur de polars
"Il y a une différence fondamentale entre le fascisme et le régime berlusconien.le premier a été une dictature explicite.Le second est un système de pouvoir fondé sur un seul homme , parmi les plus riches du monde, qui domine l’information avec son empire télévisuel, possède deux quotidiens et de nombreuses revues, est propriétaire de la plus grande maison d’èdition, la Mondadori. Il est en mesure de faire taire les directeurs de journaux ou les journalistes qui ne sont pas d’accord avec lui. C’est à son domicile qu’ont étè désignés les directeurs des JT de la RAI: il contrôle de ce fait 5 chaînes nationales sur 6. Mussolini n’était pas un hypocrite et ne jouait pas les victimes. Berlusconi au contraire a l’audace de soutenir que 80% des moyens de communication sont aux mains des communistes et donc contre lui. En somme, Mussolini a été un dictateur. Berlusconi, lui, est le fruit et la racine d’une maladie dégénérative de la démocratie."

Alessandro Baricco, metteur en scène
"Le premier effet du berlusconisme a été de paralyser l’"autre Italie", celle qui ne voulait pas de lui et votait contre lui. Et de la tétaniser.Il aura été comme un violent traumatisme social qui bloque d’un coup la croissance d’une Italie solidaire, intelligente, moderne, généreuse et crèative!
L’extension du phénomène populiste a fait de nous des pionniers pour les dèmocraties occidentales. Nous sommes donc devenus uniques, une espèce de modèle parfait.Un produit de laboratoire Mais personne ne doit se sentir à l’abri de la contagion. Vous Français donnez l’impression de limiter les dégats. Pour le moment. Parce que vous avez des institutions, un Etat, solides. Mais combien de temps résisterez vous encore? L’inclination au populisme est globale, gènérale, mondiale. Je ne vois pas de pays qui puisse se dire étranger au phénomène . On n’échappe pas au populisme."

Marco Bellocchio, metteur en scène
"Berlusconi a seulement profité du changement de l’Italie. Le grand traumatisme qui a frappé ce pays remonte aux annèes 80. L’ècroulement du communisme s’est accompagné de la fin des des utopies, des idéaux et de la politique tout court. Alors Berlusconi a eu beau jeu de proclamer, comme autrefois Reagan : "Enrichissez vous; ne payez pas les impots, etc.."en faisant appel au matérialisme le plus primaire. Il a parfaitement chevauché ce mouvement sauvage et egoiste.En somme, lorsque l’idée qu’on pouvait rendre le monde plus juste et plus honnète s’est effondrée, la place était ouverte à l’aventure berlusconienne. Et quand le PCI, qui était une contre société, qui reprèsentait , meme aux yeux de l’étranger, une "Italie autre", a disparu, tout devenait possible dans la Péninsule, meme le pire.Et le pire est arrivé. Ceci dit, les récents scandales, les prises de distance de l’Eglise, ont fragilisé le Cavaliere. A la télé, on le voit plus maquillé, plus fatigué, plus vulnerable, tendu et irascible que d’habitude. Comme si quelque chose s’était écroulé."

Erri de Luca, ouvrier et écrivain, prix Femina pour "Montedidio"
"Il y a en ce moment chez nous une vèritable idolatrie de l’argent, et le monsieur que pour des raisons d’hygiène personnelle je ne peux meme pas nommer ,est une consèquence triste et pittoresque de cette maladie locale. Cet homme n’a pas changé l’Italie, non, il a seulement accompagné sa dèrive. Et ses actuels passe temps nocturnes ont mis l’Eglise dans l’embarras, laquelle est devenue la seule opposition politique crédible, non seulement pour des raisons éthiques, mais parce qu’elle est hostile aux reconductions d’immigrés et aux lois qui les persécutent. Est ce suffisant pour abattre le personnage?
L’Italie est un pays "humoral", où la politique vire rapidement au rixe, à la prévarication, à la destruction morale de l’adversaire.On y trouve le populisme fasciste de la Ligue du Nord, mieux enracinée que votre Front national. On y trouve la dénigration de l’intelligentsia . On y trouve le monopole de l’information, l’uniformisme volontaire,l’ alignement spontané. Mon pays est un pays où les jeunes apprennent à vieillir dans la précarité.., Je vous remercie de tout cœur pour l’intérêt que vous portez à l’Italie, mais nos malheurs ne relèvent plus de la politique, nous sommes devenus un cas clinique."

http://tempsreel.nouvelobs.com/actualites/20091014.OBS4601/?xtmc=berlusconi&xtcr=1

martedì 13 ottobre 2009

Silvio Berlusconi's good news machine

The Italian PM's new taskforce couldn't possibly be a propaganda unit, could it? After all, it's just there to boost tourism

Manuela Mesco
Tuesday 13 October 2009

In 1937, dictator Benito Mussolini founded the MinCulPop – the ministry for popular culture – a governmental propaganda office, with the clear purpose of controlling media and spreading the government's official version of facts.

MinCulPop was responsible for selecting the news that could be reported nationwide, and for filing the articles and dispatches sent to newsrooms and radio stations. It was a way for the Duce to impose a positive vision of the country, hiding factual truths. Mussolini believed that all bad news needed to be prevented and that Italy should be depicted as a happy, florid country. The word propaganda was very carefully avoided and so were news items that could shed a negative light on Italy. No great surprise for a fascist dictatorship.

Seventy-two years after the foundation of MinCulPop, Italy has announced the 21st century version of it. Presented as a special body to enhance the image of Italy, the new governmental office will be responsible for spreading good news about the country. It is needed – the government says – for commercial reasons. Italy must counter the relentlessly negative world media reports about Silvio Berlusconi and his politics, because they damage Italian business. Tourism is suffering from the continuous press attacks and swift action is needed in order to stop foreigners deserting Italy as a holiday destination.

As a tourism matter, it fell to the tourism minister, Michela Vittoria Brambilla, to launch the new taskforce, which will be made up of a group of young journalists and communications experts with two duties: to monitor foreign press everywhere in the world, "from Japan to Peru", and "to bombard those newsrooms with truthful and positive news". This is the shape of the new anti-denigration unit – which could be mischievously defined as a propaganda department – beginning operation next month.

Even if it does look like propaganda, the tourism minister reassures us that it's not. "This is not a government bulletin. We'll tell facts. We may stress some government initiatives, if it's appropriate. But above all, we'll let the world know about a generous, truthful and audacious Italy – the Italy of entrepreneurs, art, cultural events and our products". She added that there will be a special section within the taskforce that will provide press articles, internet material and visual content.

This all comes as no surprise after the recent criticism the prime minister made of a foreign press that, according to him, is acting against Italy and damaging not only him but the country as well. And it's no surprise that Berlusconi wants to counteract attacks coming now from almost every corner of the world.

The prime minister made his point again during the Monza and Brianza business conference: "Those who discredit Italy also damage Italian products and companies. Entrepreneurs should rebel against such anti-Italian action".

Brambilla limited herself just to giving shape to Berlusconi's ideas. Foreign newsrooms must be filled with tales about Italian success, leaving no room for bad news or criticism. But don't worry – this has nothing to do with propaganda. It doesn't look like a revival of MinCulPop at all. No, it's just a way to boost tourism.

http://www.guardian.co.uk/commentisfree/libertycentral/2009/oct/13/silvio-berlusconi-propaganda-unit


Silvio, it's Time to Go


Italy can no longer afford the antics of its playboy in chief.

By Christopher Dickey | NEWSWEEK